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giovedì 4 dicembre 2014

Marco Enrico Bossi (1861-1925), Opera Omnia per organo - Recensione di Arturo Sacchetti




Marco Enrico Bossi (1861-1925), Opera Omnia per organo. Organista Andrea Macinanti
casa discografica TACTUS (www.tactus.it) [voll. I-IX]


L'organista compositore Marco Enrico Bossi gode, senza remore, dell'appellativo di 'Principe degli organisti' riconosciutogli per i suoi portati creativi tra Otto e Novecento e testimone della epopea universale organologica dello strumento. Il suo viaggio nel nome dell'amato organo ha inizio nel 1879 sin dagli anni di studio realizzati presso il Conservatorio di Milano con la composizione della Suonata per organo e si concluderà con la Fantasia sinfonica op. 147 per organo ed orchestra. Un'esperienza creativa vissuta all'insegna dell'irrequietezza inventiva, dell'ambizione coltivata per 'seguire il passo dei tempi, dell'orgoglio per affermare la scuola italiana per troppo tempo esistita 'cenerentola' rispetto ad altre scuole europee più emancipate, della sensibilità per esprimere un proprio gergo intessuto di nobiltà e di accenti personali.

Delle decine di opere che popolano il catalogo soltanto alcune hanno avuto l'onore della conoscenza, non fosse altro per l'inserzione di esse nei programmi ministeriali del piano di studi dei Conservatori di musica. Dopo la sua scomparsa, avvenuta repentinamente nel 1925, una coltre di silenzio è scesa sui suoi parti creativi letti maldestramente dagli organisti protesi verso l'esaltazione dei credo d'oltralpe e frustrati immotivatamente dal portato del nostro. Di conseguenza si è affermata l'ignobile convinzione che la scuola italiana dell'organo avesse partorito esclusivamente le geniali intuizioni di Girolamo Frescobaldi, peraltro organisticamente riducentesi ai Fiori musicali.

Ma è l'editoria internazionale che ha tributato, con l'edizione delle sue composizioni non esclusivamente organistiche, il doveroso riconoscimento ad attestazione dell'ammirazione per il protagonista della risurrezione linguistico-organistica italiana e per la crescita della creatività dedicata all'organo a livello universale.
Al presente il mondo dell'organo, ancora succube di un'esterofilia quasi fanatica, deve scoprire con disonorevole ritardo, incredibilmente, i portati di colui che ha dato voce al 're degli strumenti', ammirato dai suoi contemporanei, dimenticato dai posteri. A questa tristissima realtà, che vede l'Italia musicale irresponsabilmente irriconoscente nei confronti di un suo figlio 'grande' universalmente l'organista Andrea Macinanti pone concretamente rimedio con un gesto importante, complesso e di alta levatura interpretativa realizzando l'incisione delle sue opere per organo, gesto resosi possibile grazie alla sensibilità ed alla lungimiranza della casa discografica Tactus di Castenaso (BO).

Parecchi sono i pregi riscontrabili: il riferimento agli autografi bossiani stante varie divergenze esistenti inspiegabilmente tra essi e le edizioni a stampa, che ebbero di certo il placet dell'autore, l'impiego di organi storici in sintonia con il pensiero del nostro, il rispetto per il segno, condizione indispensabile per una ricreazione sincera del discorso musicale e l'impronta interpretativa tesa alla instancabile ricerca della verità contenutistica ed espressiva. Quest'ultimo aspetto è quello che può aver generato nell'interprete una problematica pesante, che è riconducibile ad un interrogativo: in qual modo Bossi, interiormente, 'sentiva' suonare la sua creatività organistica contornata da irrequietezze (l'insoddisfazione frequente per i riferimenti ad organi 'ideali' fragilmente supportati da esemplari italiani ed europei fortemente connotati) e da dubbi?

Il coraggioso ed autorevole interprete si è posto sicuramente questo problema ed ha operato responsabilmente per dirimerlo anche alla luce di documenti sonori esistenti (le pionieristiche incisioni sopra rulli per organi a riproduzione), od a testimonianze inerenti la sua arte interpretativa. L'esito, occorre evidenziarlo, è fortemente positivo e pone un punto fermo nella storia dell'organo italiano, ma costituisce anche un ammirevole atto di coraggio, quasi provocatorio, tendente a scuotere dal torpore non giustificabile un mondo organistico nazionale che ha avuto, ed ha, il torto di aver tradito, senza motivazioni, il 'Principe degli organisti'.