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domenica 19 ottobre 2008

L'organico vocale da impiegare per l'esecuzione della musica corale di Johann Sebastian Bach: a parti reali o con raddoppi? (3)



All'idea di Rifkin, dapprima appoggiata solo da pochi, oggi si associano illustri nomi tra cui il musicologo John Butt (concorde con Rifkin nel ritenere che il numero dei cantori citato nell'«Entwurf» si riferisce soprattutto all'esecuzione dei mottetti composti dai predecessori di Bach, e nella maggior parte a 8 voci e non a 4 come le Cantate), nonché i direttori Paul Mc Creesh  (che ha recentemente inciso in disco una versione della Passione secondo Matteo totalmente a parti reali) e Sigiswald Kuijken, il quale sta affrontando la    registrazione delle Cantate di Bach, anch'esse impostate a parti reali secondo la tesi di Rifkin.


Naturalmente altri specialisti, altrettanto illustri, concordano invece con l'interpretazione di Schering e Wolff.


Ad esempio le esecuzioni in disco di musica corale bachiana realizzate negli anni Ottanta del secolo scorso da John Eliot Gardiner si rifanno all'idea di utilizzare non più di 4/5 voci per ciascun registro, ivi compreso il solista. Idea sostenuta anche in questi anni, ampiamente riscontrabile dalla registrazione delle Cantate di Bach realizzate nel corso del suo «Pellegrinaggio bachiano».

Anche la registrazione di tutte le Cantate di Bach nella versione di Ton Koopman (intrapresa a metà degli anni Novanta ed attualmente in via di completamento, accompagnata da due volumi ricchi di saggi musicologici sulle Cantate di Bach da periodo di Arnstadt a quello di Lipsia) si basa sull'impiego di un coro con 4 cantori per registro ed un'orchestra ad archi, pressoché a parti reali (più, naturalmente, gli strumenti obbligati).

Koopman più di tutti si è mostrato in contrasto con Rifkin. Egli è  fortemente convinto che la musica di Bach non "funzionerebbe" se non con l'ausilio di un coro di 12/20 elementi, poiché lo status degli allievi della Scuola di San Tommaso era quello di dilettanti (seppur bravi e dotati), non di professionisti. Una esecuzione a parti reali, secondo Koopman, ignorerebbe tale status ed è sconsigliabile, specialmente per l'esecuzione di composizioni come la Messa in si minore.

A ciò aggiunge anche che è storicamente documentato da fonti iconografiche che più di una persona potesse cantare o suonare su una stessa parte (si veda anche l'incisione del Musikalisches Lexikon). Anche le parti di fagotto 1° e 2° scritte simultaneamente su una stessa parte (autografo Messa in si di Dresda, 1733) dimostrerebbero che più strumenti [cantori] potevano leggere da una stessa parte. Per di più, l'esistenza di sole parti singole, non escluderebbe a priori lo smarrimento di altre copie per altri cantori e strumentisti.

Ed è proprio con Koopman che, sia Rifkin sia Parrot, sono entrati in polemica rispondendo alle sue asserzioni con articoli dettagliati pubblicati negli anni Novanta dalla rivista «Early Music». In effetti, le argomentazioni di Koopman appaiono piuttosto generiche rispetto all'indagine filologia condotta da Rifkin sui testimoni originali bachiani (non a caso quest'ultimo ha pubblicato saggi esemplari anche nel «Bach-Jahrbuch»).


[Continua]

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